La “polarità” politico-religiosa nell’Islam come strumento di cooperazione per la stabilità interna. Il caso del Gran Muftì di Egitto
Abstract
A partire dalle “Primavere arabe”, la dottrina comparatistica ha intensificato la propria attenzione sulle dinamiche
giuspubblicistiche dell’Islam mediterraneo, sunnita nella sua quasi totalit., portando alla luce i limiti di alcune categorie
interpretative tipicamente europee. In particolare, . emerso come il rapporto tra religione e vita pubblica non possa essere
letto n. in termini di laica separazione n. in termini di teocratica fusione. Si pu. parlare, piuttosto, di una “polarit.”
politico-religiosa. Inoltre, risulta complicato comprendere come l’abbinamento tra la collocazione della Sharīʿah al vertice
delle fonti e la presenza di una Suprema Corte costituzionale abbia portato, ad esempio, in Egitto, a un forte
ridimensionamento del ruolo delle autorit. islamiche, consentendo riforme non solo in ambito economico, ma anche
nell’ambito dei diritti (ad esempio delle donne e dei cristiani), pur in un quadro sostanzialmente autoritario. Quella
“polarit.”, infatti, ben si comprende alla luce del paradigma comunitaristico che continua a dominare le esperienze
politiche dell’Islam mediterraneo, al di l. delle pur significative esperienze statual-nazionali realizzate nel suo ambito,
ed . proprio sul terreno dell’amministrazione della giustizia che tale “polarit.” emerge con maggiore evidenza. In Egitto,
il Presidente della Repubblica al-Sīsī non solo ha tenuto una serie di lezioni di “universalismo islamico moderato” ad
Al-Azhar, ma ha anche promosso la nomina di un cristiano a capo della Corte costituzionale, ovvero al vertice
dell’istituzione cui spetta, in ultima istanza, di valutare la coerenza di una legge con la Sharīʿah.
In particolare, verr. qui analizzato il rapporto tra il Gran Muftī e il vertice dell’Esecutivo, esempio classico di
“polarit.” politico-religiosa, qui declinata come cooperazione tra l’autorit. religiosa e quella politica per la risoluzione
delle tensioni e per la tutela della stabilit.. Tutto ci., tenendo conto delle rivalit. strategiche che caratterizzano l’odierno
confronto tra le diverse anime del mondo islamico.
Starting from the "Arab Spring", Comparative Doctrine has intensified its attention on dynamics related to Public
Law of Mediterranean Islam, bringing to light the limits of some typically European interpretative categories. In
particular, it emerged that the relationship between religion and public life cannot be interpreted neither in terms of
secular separation nor in terms of theocratic fusion. We can speak, rather, of a political-religious “polarity”.
Furthermore, it is difficult to understand how the combination between the Sharīʿah at the top of the legal sources and
the presence of a Supreme Constitutional Court have led, for example, in Egypt, to a strong reduction in the role of the
Islamic authorities, allowing reforms not only in the economic field, but also in the context of rights (for example for
women and Christians).
That "polarity", in fact, is well understood in light of the Communitarian paradigm that characterizes most political
experiences of Mediterranean Islam, despite relevant state-national experiences. It is precisely in the field of the
administration of justice that this "polarity" emerges
in a significant way. In Egypt, the President of the Republic al-Sīsī promoted lessons of “moderate Islamic universalism”
in Al-Azhar, and promoted the appointment of a Christian as head of the Constitutional Court. In particular, the
relationship between the Grand Muftī and the President will be analyzed here, as an example of political-religious
"polarity", here expressed as the cooperation between the religious and political authorities with the purpose of ensuring
national stability.
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